La cultura fa bene all'economia, nutre le singole persone e promuove la coesione sociale, come ha dimostrato Paola Dubini, professoressa di Management presso l'Università Bocconi di Milano, nel suo saggio "Con la cultura non si mangia. Falso!" edito da Laterza e pubblicato nel 2018. Allo stesso modo, gli studi umanistici possono avere proficue applicazioni anche nei settori dell'analisi, valutazione e gestione delle risorse aziendali ma gli studi sull'argomento sono ancora pochi, circoscritti e di minima gittata.
In questa tesi vorrei quindi riprendere alcuni insegnamenti del piano di studi che ho seguito nel mio percorso a Lettere e raffrontarli con le competenze acquisite durante la mia ventennale attività di consulente tecnico e strategico in ambito tecnologico.
Sono perfettamente consapevole che l'operazione culturale è molto ardita, anche perché non si basa su una teoria codificata o su un corpo di analisi empirica a cui attingere. Si tratta, piuttosto, di un primo tentativo di sviluppare un'intuizione e qualche idea costruitesi lungo il mio intero corso professionale, provando a testarle sulla pratica svolta durante lo stesso percorso, come esempio a supporto e conferma.
Confronterò alcune opinioni espresse da due poeti del ventesimo secolo in merito alla loro esperienza di e con la critica letteraria con le indicazioni presentate da diversi manager esperti in campi che hanno spesso diffidato degli studi umanistici, affidandosi ciecamente alla formazione scientifica di impronta economico-aziendale.
Racconterò come lo studio dell'esperienza di vita di un pittore mi abbia permesso sia di comprenderne l'opera che di acquisire competenze spendibili nel mondo del lavoro, anche in contesti apparentemente lontani come lo sviluppo del software.
Tenendo a mente una competenza trasversale, l'alfabetizzazione informativa e mediatica, che si considera scienza sociale pur essendo oggi il principale bene aziendale1, porterò un esempio di attività svolta di recente presso il nostro Ateneo, lo sviluppo del software per la gestione delle prenotazioni delle date di esame da parte dei docenti afferenti al Dipartimento di Scienze della Formazione.
Seguendo l'esempio di Édouard Manet, che preferiva combattere le proprie battaglie per affermare la sua pittura dentro le istituzioni, è mia intenzione sostenere la convinzione, diffusa in alcune Università estere e approdata di recente anche in Italia2, secondo la quale la formazione in ambito scientifico e quella di contesto umanistico andrebbero seguite parallelamente per affrontare la complessa realtà del nostro tempo3.
L'elaborato si spingerà fino a consigliare l'adozione della medesima strategia presso il nostro Ateneo, riportando dei possibili spunti di riflessione e approfondimento basati sulle pubblicazioni recenti in materia di leadership nei gruppi di lavoro.
Per ciò, di seguito metterò a confronto alcuni estratti delle lezioni di scienze umane e dei testi di management e leadership. Lo stile e il registro linguistico differiranno, trattandosi di comunicazioni destinate a diverse tipologie di pubblico e con obiettivi differenti, ma proverò a concludere ogni paragrafo mettendo l'accento su quanto l'esperienza umanistica si avvicini, renda reale, e spesso anticipi, il progresso delle metodologie di gestione.
Di seguito riporto una trascrizione parziale della lezione tenuta del Prof. Ugo Fracassa il 20 ottobre 2021 all'interno del corso di Teorie della letteratura per confrontarlo con l'estratto successivo.
«I poeti offrono una certa resistenza all'essere posti sotto la lente critica se questa si dimostra essere un microscopio, uno strumento di altissima potenza e risoluzione, in grado di squadernare il testo, sezionarlo, ingrandirlo a piacimento.
In una lettera a Gianfranco Contini dell'aprile 1940, Eugenio Montale, parlando della sua esperienza nell'essere oggetto di osservazione critica, afferma che gli sembra di essere una farfalla infilzata dall'esegesi altrui4.
Posto sotto la lente di certi critici, in particolare quelli molto ferrati e molto "armati" della nuova critica degli anni '60, il poeta finisce per essere l'oggetto di studio di un entomologo, come la farfalla infilzata può essere a piacimento osservata in tutti i suoi particolari. L'impressione del Poeta è perciò di essere quella farfalla ma, siccome il Nostro è versato nell'uso delle parole, sa sfruttarne tutta la potenza ribaltando la metafora, recuperando l'immagine della farfalla per descrivere la propria attitudine di critico dell'opera altrui.
Oltre a darci prova dell'importanza di saper esprimere chiaramente le proprie idee per essere compreso, definendo se stesso un critico farfalla ci pone dinnanzi ad una sorta di contrappasso in cui l'essere leggero gli permette di andare di fiore in fiore, rifuggendo l'azione penetrante e incisiva di certi studiosi particolarmente ingerenti nei fatti dell'arte.
C'è una leggerezza in questa idea del critico farfalla, una contrapposizione all'immagine di invasività entomologica che ha dato l'occasione a Cesare Segre di stilare una sorta di classificazione delle attitudini critiche in un suo libro, uscito nel 2001 per i tipi della Biblioteca Einaudi e intitolato Ritorno alla critica, in cui definisce i confini di questo particolare approccio alla critica letteraria: il critico farfalla è un intellettuale molto noto o addirittura un poeta che, in virtù della sua autorevolezza, acquisita per meriti letterari, scrive per i grandi giornali e può parlare di questo libro o di quell'altro, italiano, straniero, moderno, antico, senza dover dimostrare nulla in termini di erudizione, penetrazione, ermeneutica, esegesi accanita5.
Prosegue Segre concentrandosi sul suo ideale di critico, qualcuno cioè che "Descrive, storicizza e valuta l'opera"6, ossia ci informa sul testo, ce lo descrive inserendolo in un contesto che comprenda l'epoca, il genere e le opere coeve e lo valuta. Non c'è ufficio critico senza valutazione.
Il dovere ineliminabile del critico, anche del critico farfalla, anche del critico scrittore, è di esplicitare la sua valutazione e Montale non se ne astiene: di ciò di cui ci sta parlando, magari descrivendo, magari storicizzando, ci dà sempre la propria opinione, che sia bene o male, brutto o bello, valido o meno, il giudizio di valore deve essere sempre attivo.»
Nel libro Turn the Ship Around, David Marquet, un ex comandante della Marina degli Stati Uniti, racconta come ha trasformato una nave a prestazioni medie in una delle migliori della flotta, delegando autorità e responsabilità ai membri del suo equipaggio.
In particolare, «la regola per le riunioni di tutoraggio (che venivano svolte sulla nave n.d.t.) era che potevamo parlare solo di problemi a lungo termine e principalmente di problemi comuni alle persone. Tutti gli affari riguardanti una valvola che perdeva o una scheda di circuito guasta dovevano svolgersi al di fuori di queste riunioni»7.
Insegna cioè ad ogni ufficiale a considerare il comportamento generale dei propri sottoposti, individuando i margini di miglioramento comuni piuttosto che concentrarsi sull'analisi del singolo intervento, con il livello di dettaglio della sostituzione di un bullone.
Thomas Stearns Eliot diceva: «I poeti critici sono migliori dei critici perché non hanno da dimostrare nulla in fatto di scrittura. Per vedere cosa sono in grado di fare con la scrittura, basta andare a leggere le raccolte diverse».8
È chiaro che la critica non esiste senza letteratura così come il leader non esiste senza il proprio gruppo di lavoro: come il critico farfalla non disseziona ogni virgola, così un leader autorevole non indaga ogni azione dei propri sottoposti ma piuttosto valuta il rendimento complessivo forte della propria competenza e del prestigio di cui gode.
Figura 1 Francis Bacon, Studio per papa Innocenzo X 1953, 136 x 118 Des Moines Art Center |
Se volessi rendere con un'immagine l'idea del capo nella sua investitura più ortodossa, mi verrebbe da pensare a Francis Bacon quando reinterpreta (fig. 1) la figura di papa Innocenzo X in un uomo prigioniero del suo stesso potere, rappresentato dall'oro che lo circonda e lo costringe, come certi dirigenti che faticano a comprendere le inclinazioni lavorative delle nuove generazioni.
Figura 2 Jacques-Louis David, Napoleone nel suo studio, 1812, 204 x 125, Washington, National Gallery |
Oggi invece ci stiamo avviando, e in un certo senso tornando indietro, sulla strada che viene ben rappresentata da Jacques-Louis David quando dipinge la grandezza di Napoleone (Fig.2). Sotto il suo pennello, viene rappresentato come un modello di leader che si occupa instancabilmente e incessantemente del suo popolo: la candela sullo scrittoio è consumata, ad indicare che fuori è buio, l'orologio batte le quattro abbondanti, segno che l'imperatore ha passato tutta la notte a lavorare sulle carte arrotolate e sui libri mastri, mentre la spada, da cui non si separa mai, è vicina e inutilizzata.
Confrontandoli mi torna in mente un principio troppo spesso taciuto ma sottolineato nel dipinto di Bacon: un ambiente di lavoro malsano è tossico anche per chi lo dirige.
Ripenso al capitolo intitolato "Cromo" del romanzo "Il sistema periodico" di Primo Levi sotto una nuova luce: la fabbrica di vernici rappresenta il contesto in cui un capo disattento alle esigenze dei lavoratori crea un ambiente di lavoro alienato, dove si sopravvive con l'egoismo, ci si difende con il disinteresse "e nessuno sa più perché"9 si facciano certe azioni.
Non importa che il Nostro sappia approfittare di ogni occasione per riappropriarsi della vita, quel capitolo sottintende un ambiente di lavoro tossico dove la rigidità del capo rischia di far deragliare l'autore, già provato dalla propria condizione di sopravvissuto, come sono alienati, quasi fossero automi, gli altri lavoratori.
La grandezza di Primo Levi è di saperci raccontare ciò che ha visto da una prospettiva umoristica inaspettata e sorprendente, tanto che Italo Calvino ha definito questo libro "il più «primoleviano» di tutti"10. Ciononostante, e forse proprio grazie allo spirito forte con cui riesce a ridere di sé, ci descrive situazioni che dobbiamo ricordare e rileggere, un'altra storia che bisogna stare molto attenti a non ripetere.
Ritengo che ogni leader potrebbe, e forse dovrebbe, beneficiare dello studio dei metodi di fare critica da parte di quegli scrittori che ne fanno mestiere perché ne guadagnerebbe pratiche immediatamente applicabili alla gestione del gruppo, inteso come insieme di elementi con proprie specificità e inseriti in un contesto.
Ed è qui che appare, in tutto il suo splendore, lo Zeno Cosini di Italo Svevo, ebreo anch'egli. Ho sempre considerato Svevo un mio caro amico, un compagno di viaggio, e "La coscienza di Zeno" è il libro che meglio descrive al mio cuore un ambiente lavorativo che plasma la personalità e le azioni di chi lo frequenta, un ritratto ironico e amaro del mondo del lavoro borghese della Trieste di fine Ottocento.
L'ufficio di Zeno Cosini è una prigione dorata, non dissimile da quanto rappresentato da Bacon, con rapporti interpersonali superficiali, un'atmosfera di ipocrisia, una competizione malsana.
Un leader che riconosca gli effetti di tanta tossicità potrà creare un ambiente in cui ciascuno si senta apprezzato per il contributo che fornisce e abbia stimoli oltre ogni aspettativa. In pratica bisogna giocare a fare il lavoro che ci piace e le aziende hanno bisogno di guide che sappiano apprezzare il lavoro svolto con rapidità ma senza fretta e, soprattutto, capire la differenza tra i due.
Di seguito riporto una trascrizione parziale della lezione in due parti tenuta dalla Prof.ssa Laura Iamurri nei giorni 16 e 17 ottobre 2023 durante il corso di Storia dell'arte contemporanea.
Ho selezionato solo parte della descrizione dell'opera di Manet in quanto ho visto un collegamento tra l'approccio alla pittura dell'artista e la strategia suggerita nel paragrafo successivo.
Figura 3 Alexandre Cabanel, La nascita di Venere, 1863, 130x225, Paris, Musée d'Orsay |
«Abbiamo visto che c'è un modo di mostrare i nudi senza che facciano scandalo: la Nascita di Venere (fig. 3) non genera nessun problema.
Allora che cosa fa scandalo dell'Olympia? (Fig. 4)
Fa scandalo la prostituta o fa scandalo com'è dipinta?
Figura 4 Edouard Manet, Olympia, 1863, 130.5 x 190, Paris, Musée d'Orsay |
Siamo in una società molto ipocrita e mostrare questa ipocrisia con la prostituta fiera, vestita solo di gioielli (un bracciale d'oro, un nastro di velluto nero con una perla e delle ciabattine vezzose) con la cameriera che le porta un mazzo di fiori, probabilmente l'omaggio di qualche cliente, ci trascina in un'atmosfera che i contemporanei non faticano a riconoscere, identificando questa ragazza come una prostituta e leggendo l'ambientazione come legata all'attività della prostituzione. C'è quindi sicuramente un problema con l'identificazione della modella, poiché sono tutti sicuri che si tratti di una prostituta, ma c'è anche un problema legato alla stesura, al modo in cui è dipinta. Rispetto alla costruzione accurata del chiaroscuro, del volume e delle rotondità del corpo tipica dei pittori accademici, in Manet è tutto molto appiattito, con i bordi che servono a risaltare il corpo sullo sfondo. Si vedono le pennellate: la negazione di quella raffinatezza e quell'esecuzione lunghissima della tecnica accademica che mirava quasi alla cancellazione del segno delle pennellate a forza di stesure e velature trasparenti, sempre più sottili e dettagliate. Nell'Olympia la pennellata è esibita ovunque, negli occhi, nella bocca, negli orecchini. Il nastro è una pennellata unica, chiara e definita, senza nessuna rifinitura.
E' una pittura che non risponde alle attese del pubblico, che è abituato a uno stile più tradizionale, a quella pittura la cui tecnica raffinatissima è tramandata dall'Accademia che, dopo essere stata un luogo di accoglienza nel momento della fondazione, si è trasformata nel tempo in un luogo di conservazione e di perpetuazione di una tradizione ormai sterile perché fuori succede di tutto ma dentro non se ne accorgono (o fanno finta di non accorgersene), creando molte frizioni anche tra artisti e pubblico.
Figura 5 Edouard Manet, Ritratto di Emile Zola, 1867-68, 146 x 114, Paris, Musée d'Orsay |
Il quadro Ritratto di Zola (fig. 5) fornisce alcuni indizi interessanti sulla provenienza di questo stile particolare, caratterizzato dall'appiattimento sulla superficie, da una certa negazione delle rotondità e della profondità. Nello studio di Zola sono presenti, oltre all'Olympia, un paravento giapponese, un calamaio orientale, un'incisione a stampa e una figura di nuovo giapponese. Già da qualche anno a Parigi si respirava una passione per stampe provenienti dal Giappone, xilografie colorate che si compravano in botteghe e presentavano un'idea completamente diversa del colore e dello spazio. [...]
Manet non esporrà mai con gli impressionisti. Li conosce, li apprezza, ci parla e si lascia sedurre dalla ricchezza cromatica, tanto che cambierà la sua tavolozza, che diventerà più ricca, e si evolverà anche la sua pennellata.
Figura 6 Edouard Manet, Ritratto di Stéphane Mallarmé, 1876, 27.5 x 36, Paris, Musée d'Orsay |
In questo quadro (fig.6), più della figura umana, risalta la posizione in cui si trova Mallarmé: non appare "in posa" ma come se fosse colto in un modo spontaneo, un po' scomposto, di stare seduto.
E poi c'è la forza del messaggio nel modo di rappresentare la carta da parati, il cuscino, lo sfondo e il divano stesso: con queste pennellate molto veloci, che non descrivono niente, Manet riesce a dare il senso di atmosfera, di vivacità, della vitalità della persona ritratta.
Queste pennellate derivano chiaramente dalla frequentazione strettissima con Berthe Morisot, moglie del fratello.
Non c'è dubbio che tra i due, che avevano quasi dieci anni di differenza, ci sia un rapporto di dare/avere e soprattutto un interesse pittorico, un rispetto pittorico da parte di Manet, che in quel momento storico non era affatto scontato da parte di un pittore nei confronti di una pittrice.
Mentre nei confronti di un altro pittore più giovane, come Monet, ci può stare il riconoscimento di valore, il riconoscimento del valore di una pittrice, in questa data, non è affatto scontato. È dunque tanto più interessante l'uso che Manet fa della leggerezza della pennellata di Morisot e come la reinterpreta nei suoi quadri. Non parliamo soltanto di un copiare, parliamo di uno sguardo capace di osservare, reinterpretare e incorporare quella caratteristica diversa che è così precipua, così particolare di un altro artista che viene tradotta all'interno del proprio linguaggio pittorico.
Questo saper guardare le intuizioni degli altri artisti, saperle reinterpretare e tradurle in modo che sembrino apparire spontaneamente nel proprio linguaggio pittorico è una qualità degli artisti bravi, una caratteristica dei grandi maestri.
Figura 7 Manet, Rue Mosnier imbandierata, 1878, xm 65.4 × 80, Los Angeles, Getty Museum |
In questo quadro del 1878, l'apparizione più sorprendente è questa figura di uomo con una gamba sola: è realmente dipinta con quattro pennellate. È stupefacente come Manet riesca a riassumere velocemente l'azione con questi colori, facendo tesoro di quella agilità della pennellata che ha visto nei quadri di Morisot, di quella capacità di trattare le ombre, le luci e i riflessi che ha visto nei quadri di Monet oltre a una capacità di sintesi quasi caricaturale che è tutta sua. In un piccolo quadro, in cui apparentemente non succede niente (una carrozza ferma, un operaio che porta una scala, dei passanti), la semplicità della figura del mutilato riesce a raccontarci tutta la storia del linguaggio pittorico degli anni 70.»
Nei brani della lezione appena trascritta rilevo un collegamento con il capitolo IV del testo di Ries11 e in particolare vorrei riflettere sul paragrafo "Un esperimento è un prodotto" di cui riporto il primo capoverso:
«Nel metodo Lean Startup, un esperimento è qualcosa in più di una ricerca teorica; è anche un primo prodotto. Se l'esperimento che abbiamo descritto funziona, permette al manager di avviare la sua campagna: reclutare gli early adopter,12 coinvolgere altri dipendenti nelle repliche successive o in altri esperimenti e alla fine iniziare a sviluppare un prodotto. Quando il prodotto sarà pronto per essere distribuito su ampia scala, avrà già un certo numero di clienti consolidati. Avrà risolto una serie di problemi concreti e fornito specifiche dettagliate su ciò che bisogna sviluppare. A differenza del tradizionale processo di ricerca di mercato o di pianificazione strategica, le specifiche saranno fondate su ciò che sta già funzionando oggi e non sulla previsione di ciò che potrebbe funzionare domani.»
Studiare l'evoluzione dell'opera di un artista nel suo contesto ci permette di imparare lezioni di vita lavorativa con il vantaggio collaterale di godere della sublimità delle realizzazioni, siano esse espresse «nella poesia di Omero o nella pittura di Giotto» e che «innalza gli slanci disordinati d'un'anima»13.
Manet fu forse il primo a capire che si dovessero ridimensionare le specificità richieste dall'Accademia per perseguire l'obiettivo e che si dovesse apprendere da ogni fonte, anche da un'artista per la quale i tempi non erano ancora maturi e gli animi pronti.
Ispirandosene, i pittori comunemente raggruppati sotto l'etichetta impressionista hanno segnato la via nel confronto reciproco, superando poi la fase impressionista, ciascuno con le proprie peculiarità. Allo stesso modo, i manager che applicano il metodo Lean Startup stanno imparando dall'esperienza di Ries come ridurre le procedure di pianificazione dello sviluppo richieste dagli studi aziendali, segnando la via nel confronto continuo con gli utenti e superando poi la fase di avvio del progetto, migliorando ciascun aspetto sulla base dei riscontri ricevuti.
L'esempio fornito da Manet ai pittori cosiddetti impressionisti ha diversi parallelismi con il comportamento che in tempi recenti stanno assumendo i dirigenti delle aziende fortemente orientate allo creazione di nuovi servizi o prodotti: semplificare il processo di produzione non necessariamente inficia la qualità dei risultati ottenuti ad ogni traguardo14 e nel prodotto finale.
Ecco che torna con prepotenza e lungimiranza il Primo Levi di Cromo nel momento in cui, libero di decidere quale strada seguire per ricostruire la storia e risolvere il problema, ignorando le critiche raggiunge il risultato richiesto.
Purtroppo anche la sua soluzione, una volta andato via, sarà inglobata nella prassi del "fare ciecamente" ma questo sviluppo successivo non sminuisce la bontà dell'approccio.
Se è vero, come è vero, che Primo Levi è un chimico e un umanista, viene spontaneo chiedersi in quanti altri ambiti lo studio della storia dell'arte, e in generale delle materie umanistiche, potrebbe contribuire alle nuove pratiche di gestione e organizzazione e in che misura rivoluzionarne il miglioramento.
Nei successivi paragrafi riporto una parte della lezione sulla valutazione critica tenuta dal Prof. Ugo Fracassa il 10 novembre 2021 durante il corso di Teorie della letteratura, l'opinione di Frederic Laloux in merito alla valutazione aziendale e la mia traduzione di un articolo di attualità contemporanea che li interconnette.
«Caproni, in quanto scrittore, è un giudicato, è qualcuno che scrive i suoi libri e poi si aspetta le critiche dagli altri, ma lui stesso diventa giudice perché è critico, legge i libri di altri e si ritrova dalla parte di chi emette le sentenze e giudica il valore del lavoro altrui. Trovandosi in questa doppia funzione ne trae un'importante conclusione: "Magari un libro non è riuscito bene, ma bisogna pensare che dietro c'è una persona, magari una persona degna e rispettabile. Perciò, se proprio devo parlarne male, preferisco stendere un velo discreto di silenzio."15
Ci sta cioè dicendo che non bisogna mai essere aggressivi nei confronti di un'opera che pure non ci piace, meglio non parlarne perché le stroncature sono un lusso, qualcosa che non dovrebbe esistere perché si rischia di offendere le persone che fanno un lavoro letterario onesto e, anche se non riescono, rimangono comunque poeti.
In questo senso la critica può diventare una cattiva azione.
In una recensione del 1962 Caproni disse: "Non so perché scrivo recensioni, perché scrivo critiche", questo era quello che scriveva. Pagine di critica per prendersela con i critici e per mettersi al loro posto.
La lezione di Caproni critico, anche quando si batte contro i critici, è che non può esserci scontro frontale ma serve collaborazione, come lo stesso Montale che collaborò in qualche modo con i critici strutturalisti. Rimuovendo l'idea dello scontro, sostituito al più da frecciatine o rimandi molto laterali, rimane la collaborazione fra scrittori, critici e teorici configurata nel tempo e nello spazio.
Alcuni autori si sono avvalsi sicuramente anche delle teorie strutturaliste applicate da certi critici, sempre mancante lo scontro aperto o la polemica vera e propria.»
Nel libro Reinventar las organizaciones,16 Frederic Laloux sottolinea come «le riunioni di valutazione annuali siano spesso i momenti più imbarazzanti dell'anno. I dipendenti, che di solito non hanno ricevuto alcun feedback durante l'anno, sono nervosi perché non sanno cosa aspettarsi. I manager sono altrettanto a disagio all'idea di una conversazione personale e spesso si attengono rigidamente a una griglia di valutazione distribuita dalle risorse umane.
Sebbene alcuni manager ci mettano il cuore e occasionalmente siano persino formati per valutare i dipendenti, essendo molto legata alle prestazioni (bonus, aumenti, progetti, promozioni), la discussione di valutazione rimane comunque venata di paura. [...]
Ognuno controlla attentamente le proprie parole e la conversazione raramente è spontanea o viene dal cuore. Non c'è da stupirsi che le persone non riescano a trarne beneficio.
Cosa accadrebbe se caratterizzassimo queste discussioni non con la paura ma con la collaborazione reciproca, la ricerca e la riflessione? [...]
Sounds True17 ha sperimentato modi per trasformare il processo di valutazione [...] in cui le persone che lavorano a stretto contatto si riuniscono e condividono idee per nutrire e stimolare il pensiero di ciascuno. [...] A coppie si confrontano ed esprimono la propria opinione sugli aspetti che maggiormente apprezzano della reciproca collaborazione e quelli in cui è possibile cambiare e crescere.
Tutto viene annotato e ciascuno riceve una copia delle annotazioni che lo riguardano, sentendosi apprezzato e potendosi preparare per il colloquio con il Responsabile, tanto sui risultati raggiunti quanto sulla strada da intraprendere. Insieme vorranno rispondere a domande come Cosa hai imparato? A cosa vuoi prestare attenzione in futuro? Dove ti senti chiamato ad andare?»
Le esperienze descritte trovano riscontro nell'articolo di Niall Eyre, direttore delle risorse umane europee presso GameStop S.a.d., e del dott. John McMackin, professore associato di Gestione Risorse Umane e Comportamento Organizzativo presso la DCU Business School che riporto in traduzione per poter esprimere le mie riflessioni in un contesto più dettagliato.
«La gestione delle prestazioni è sempre un argomento ad alta complessità per i datori di lavoro perché è il meccanismo principale attraverso il quale la strategia dell'organizzazione si riversa sulla risorsa aziendale più preziosa: gli utenti.
Mentre gli elementi fondamentali della gestione delle prestazioni, ovvero la definizione degli obiettivi e la fornitura del feedback, sono ben consolidati e supportati da un consistente corpus di prove di ricerca, le specificità del funzionamento del processo valutativo si sono aggiornate per riflettere l'evoluzione dell'ambiente e del rapporto di lavoro.
Ben prima della pandemia di COVID-19, la gestione delle prestazioni stava subendo cambiamenti significativi, poiché molte aziende erano interessate a migrare verso un approccio che preferisse l'impiego qualitativo dei talenti e la valorizzazione delle specificità di ciascuno rispetto alla distribuzione dei meriti sul raggiungimento degli obiettivi e sui premi economici corrispondenti.
Mentre le organizzazioni cercano di ripartire dopo questa crisi, dovranno considerare attentamente lo scopo dei loro programmi di gestione delle prestazioni e gli impatti che potrebbero avere in un ambiente di lavoro completamente nuovo.
Tre tendenze sul posto di lavoro che hanno un significato particolare sono: l'adozione globale di accordi di lavoro ibridi, la continua diffusione di pratiche di lavoro agili e un crescente riconoscimento che il lavoro in futuro sarà sempre più organizzato attorno a progetti e competenze piuttosto che in cicli annuali e ruoli lavorativi.
Qui evidenziamo tre modi in cui le organizzazioni possono adattare i loro processi di gestione delle prestazioni in risposta a questi cambiamenti:
Gestire le prestazioni significa, per molti, andare oltre la valutazione standardizzata e la documentazione dei livelli di conseguimento. La direzione porta a sistemi più flessibili, che supportano l'evoluzione dell'organizzazione, incentivano la formazione continua e sostengono l'apprendimento mirato alla crescita professionale del personale.
Le organizzazioni si impegnano con gli stakeholder19, in particolare i dipendenti e i loro manager, a chiarire e comunicare gli obiettivi e i risultati attesi, rispettando sia le esigenze aziendali che le conoscenze e le competenze del singolo, applicando ampiamente i principi di leadership collaborativa.
Molte aziende hanno già ridotto l'orizzonte temporale per ciascun traguardo e hanno avviato conversazioni frequenti su progressi, performance e sviluppo, poiché l'esperienza durante il Covid ha evidenziato il valore del dialogo frequente tra manager e lavoratori.
Anche il contenuto di queste conversazioni si sta evolvendo per comprendere gli obiettivi personali dei dipendenti, sia in merito al benessere che all'apprendimento, oltre il loro ruolo attuale: un recente sondaggio di Gartner ha rilevato che l'82% dei dipendenti desidera che la propria organizzazione li tratti come persone, non solo come dipendenti.
La capacità dei manager di fornire feedback significativi e di guidare le prestazioni individuali e di squadra è sempre stata un fattore critico per il processo di gestione delle prestazioni.
I manager devono imparare a sfruttare la valutazione per indirizzare le prestazioni, ispirare uno scopo, guidare con empatia e comunicare in modo trasparente con i membri del team.
Ciò richiederà un set di competenze più complesso e sofisticato rispetto al passato. Saranno richiesti investimenti significativi nella formazione ad ogni livello e un uso estensivo di strumenti tecnologici collaudati e nuovi.»
Tutti ci valutiamo, con rigore o indulgenza a seconda dei momenti, e crediamo di sapere come si fa. Tutti dovremmo vedere quanto la letteratura ci offra un panorama così ampio di esempi di autoesegesi e critica di sé come nessun altro ambito di studi potrà mai.
Ad esempio, l'Epistola XIII20, indirizzata a Can Grande della Scala, ci mostra il Sommo Poeta che non esita a mettere in discussione le proprie opere e a sottoporle a un rigoroso esame critico, ponendosi come un intellettuale consapevole delle difficoltà insite nell'atto creativo e della necessità di fornire al lettore gli strumenti interpretativi adeguati.
L'autocritica di Dante non è un semplice esercizio intellettuale ma un elemento fondamentale del suo processo creativo: attraverso l'analisi, il poeta rifinisce lo stile e migliora la chiarezza espressiva, come consigliano Eyre e McMackin, per comunicare in maniera trasparente21.
Mentre Dante si concentra sull'interpretazione allegorica della sua opera e sulla sua funzione educativa, Petrarca rivolge lo sguardo verso l'interiorità, analizzando i propri sentimenti e le proprie contraddizioni. L'autocritica di Dante è più legata alla dimensione pubblica della poesia, mentre quella di Petrarca è più intima e personale.
La Lettera X,422 del Secretum offre un esempio particolarmente significativo di questa attitudine: il Poeta Laureato scrive al fratello, ma in realtà si rivolge a Sant'Agostino, confessando la propria insoddisfazione per la sua produzione poetica e la sua incapacità di elevarsi al di sopra delle passioni terrene. A differenza di Dante, Petrarca non sembra trovare una soluzione definitiva al suo conflitto interiore e la sua autovalutazione resta intrisa di malinconia e dubbio.
Ho scelto questa coppia di Maestri ma avrei potuto portare esempi tratti dall'autosatirico Giuseppe Parini, maestro della ricerca del proprio posto nel mondo, o dal perfezionista Vittorio Alfieri, che guarda indietro per andare avanti, oltre al pessimista cosmico, lo scettico Giacomo Leopardi, e all'ottimista per antonomasia, il maestro Italo Calvino, sempre in ritardo di una revisione.
Sono solo alcuni esempi, senza la presunzione di essere esaustivo, di crescita personale attraverso l'analisi del proprio contesto e ognuno meriterebbe un approfondimento, soprattutto in sede di formazione continua di ogni aspirante leader.
Nell'esperienza che descriverò nel paragrafo 5, la riflessione sottintesa nelle parole di Caproni, troverà pieno riscontro nell'analisi di Laloux relativa alle riunioni di valutazione e, proprio come Caproni, si infrangerà sull'unica soluzione possibile: una maggiore collaborazione tra giudicante e giudicato affinché il giudizio sia un'occasione di crescita per entrambi.
Descriverò sia le condizioni che hanno portato al fallimento del primo tentativo che il successo finale, frutto di un rinnovato paradigma di gestione dell'intero progetto.
Farò riferimento all'articolo di Eyre e McMackin riportato nel paragrafo 4.2.1 in quanto espleta i concetti precedenti e li unifica con un livello di dettaglio adatto alla lettura da parte di un dirigente. Continuerò così ad interrogarmi su quanto lo studio del comportamento dei letterati, anche nel loro vestire il ruolo di critici, avrebbe potuto e tuttora possa spiegare ai leader come gestire i rapporti interpersonali nel gruppo per ottenere il miglior ambiente di lavoro auspicabile.
Molte delle idee espresse da Caproni e l'esempio stesso del suo comportamento durante l'attività di critico si sono rivelati un insegnamento e un monito costante a seguire una strada che rendesse l'ambiente di lavoro produttivo e vivibile allo stesso tempo, con rispetto reciproco e collaborazione a dettare la direzione.
Considerare le informazioni come un bene primario è solo un costrutto teorico fino a quando non ci si interroga su cosa siano realmente e come vadano trattate.
Ho affrontato lo studio delle competenze informative e mediatiche durante il corso di Bibliografia e biblioteconomia, frequentato in pieno periodo pandemico. Questo approfondimento mi ha aiutato a comprendere la natura dell'Informazione e penso che mi abbia fornito alcuni strumenti di valutazione da utilizzare con diverse intelaiature23 tecniche create per gestire i dati. Ritengo che, all'interno della mia storia professionale, questo studio si sia rivelato di grande importanza per capire cosa volessi ottenere in un progetto di sviluppo software che sto seguendo.
È mia intenzione affrontare la parte empirica di questo elaborato descrivendo eventi reali, che si innestano sullo studio teorico, e saldare così le mie due esperienze di lavoratore e di studente.
Per capire il contesto in cui ho operato, devo fare un passo indietro al 2015 per ricordare che l'allora Rettore dell'Università Roma Tre avviò molteplici percorsi di rinnovamento nell'ambito della comunicazione istituzionale.
In particolare, l'Ateneo mi coinvolse nello studio di fattibilità per il sistema informativo e di gestione degli spazi con il compito di analizzare le soluzioni implementate nel decennio precedente, individuarne pregi e criticità e proporre concrete piste di miglioramento.
Il risultato fu di consigliare lo sviluppo di un nuovo software opensource24 di Ateneo che supportasse il personale nella gestione degli spazi (sedi, aule, laboratori, ecc...) e nella creazione degli avvisi, oltre ad aggiornare il sistema InfoVideo, anch'esso opensource e di Ateneo, sviluppato nel 2008 per presentare le informazioni sui monitor nelle sedi.
Ho quindi seguito il progetto nella sua realizzazione e, sebbene l'approccio utilizzato fosse ancora quello più classico dello sviluppo software, con gli sviluppatori pensammo di provare ad esplorare alcuni paradigmi di nuova generazione per la gestione dei progetti.
Durante le fasi iniziali, decidemmo di affiancare, alle richieste del committente, le osservazioni di tutte le categorie di utenti che avrebbero interagito con il sistema, dando loro modo di esprimere pareri non vincolanti. Recepimmo, ad esempio, l'idea di permettere al nuovo software, chiamato InfoContenuti, di integrarsi e ricevere dati da diversi sistemi di Ateneo, come indicato nella figura 8, per evitare duplicati.
L'offerta formativa viene pertanto prodotta dalle segreterie di corso di laurea su GOMP25 ed esportata periodicamente per l'inclusione in InfoContenuti; la segreteria centrale inserisce i dati relativi alla disposizione delle aule e li collega tra loro, generando informazioni immediatamente fruibili dagli studenti e collegate con eventuali avvisi specifici della singola unità funzionale, ove richiesto.
Figura 8. Schema funzionale di InfoContenuti |
Gli operatori utilizzano quindi InfoContenuti per trasformare i dati in informazioni da rendere disponibili simultaneamente via internet (orari.uniroma3.it) e all'interfaccia per le apparecchiature multimediali (InfoVideo).
Sebbene avesse raggiunto la maturità nel corso del biennio precedente, con l'avvento del periodo pandemico lo sviluppo di InfoContenuti si è interrotto, anche a causa del reindirizzamento delle risorse verso altri interventi di carattere più urgente. Ciononostante, la qualità del lavoro svolto ha permesso all'architettura di continuare ad adempiere con successo ai propri compiti presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, come dimostrano i riscontri ricevuti dagli studenti e la tempestività delle segnalazioni in caso di disservizio.
Riporto in figura 9 una breve testimonianza tratta da una recente conversazione digitale tra studenti dei corsi di laurea afferenti al Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università Roma Tre in cui uno studente proveniente dal Dipartimento di Scienze della Formazione della medesima università chiede lumi sulla fruibilità dell'orario delle lezioni.
Come si può notare, lo studente, pur avendo a disposizione l'orario pubblicato dal Dipartimento di Studi Umanistici, denuncia spaesamento di fronte al metodo di comunicazione degli orari in uso (figura 9A) e spera di potersi servire di InfoContenuti anche durante il suo nuovo percorso formativo (fig. 9B) come, evidentemente, aveva già fatto in passato presso la struttura di provenienza.
A seguito delle numerose richieste dei coordinatori dei corsi di laurea e degli studenti, anche per assicurare il mantenimento del servizio, valorizzare le competenze acquisite dagli operatori e rispondere alle nuove esigenze che si stavano palesando, l'allora Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione decise di accogliere la proposta della Commissione Didattica di aggiungere alcune funzionalità ad InfoContenuti.
Lo stesso Direttore mi chiese di coordinare gli aspetti tecnici di questo progetto che si è rivelato in seguito l'occasione giusta per provare rinnovate metodologie di gestione.
Il primo incontro con la docente di riferimento, è servito a definire gli obiettivi26:
Nel primo incontro con il referente dello sviluppo abbiamo formalizzato il progetto, stabilendo tra l'altro che i docenti si sarebbero autenticati tramite email solo se ai programmatori fossero arrivati al più presto i dati relativi alla tabella di correlazione tra codice fiscale e indirizzo email di ogni docente.
Gli sviluppatori hanno quindi iniziato a lavorare sul software, sviluppando il sistema che ritenevano più adatto a raggiungere gli obiettivi richiesti mentre io ho provato a capire come ottenere i dati dei docenti che si sarebbero dovuti autenticare su ciascun ente.
Il mio compito si è rivelato piuttosto arduo e l'incontro programmato dopo sei mesi per vedere la prima bozza del prodotto ha evidenziato che anche il gruppo di programmazione era in affanno, non soltanto perché aveva ricevuto la tabella dei docenti ben oltre il tempo inizialmente previsto ma soprattutto perché la gestione dei conflitti si era rivelata assai più complicata di quanto immaginavamo, dovendo gestire situazioni che variano da un corso di laurea all'altro ed esami che si sovrappongono su diversi curricula.
Applicando ancora i metodi tradizionali di gestione del progetto, d'accordo con il committente e il capo sviluppatore, abbiamo provato a recuperare il tempo perduto riducendo gli obiettivi, che quindi sono diventati solo i punti 1, 3 e una piccola porzione del 5:
5. Nella parte pubblica, vorremmo che fosse disponibile una pagina web che mostri agli studenti le date degli esami.
Nonostante questo drastico intervento, che ha comportato anche la rimozione di diversi sottosistemi già parzialmente sviluppati, il ritardo accumulato era troppo per riuscire ad avere un prodotto funzionante in tempo per il periodo dell'assegnazione delle date d'esame e quindi abbiamo mancato la consegna.
Potevamo chiudere il progetto oppure prenderci del tempo e arrivare preparati all'anno accademico successivo: d'accordo con la docente di riferimento, siamo ripartiti da capo, formalizzando un nuovo progetto nel quale abbiamo coinvolto anche alcuni studenti titolari di borsa di studio e il personale delle segreterie. Insieme al coordinatore dello sviluppo, abbiamo riorganizzato la squadra mettendo intorno allo stesso tavolo i diversi capisquadra, includendo anche reparti solitamente propedeutici come la gestione database o la guida in linea. Ogni referente ha avuto tempo di discutere con il proprio gruppo i dettagli di quanto stavamo pianificando e a tutti abbiamo trasmesso chiaramente il messaggio che non eravamo in cerca di responsabilità ma di soluzioni, consigli, idee e suggerimenti.
Gli obiettivi sono stati riscritti comprendendo le informazioni necessarie a ciascun componente del team di progetto e ognuno sapeva quale livello di dettaglio dovesse valutare:
L'analisi del fabbisogno di adeguamento aggiornata rispecchiava quindi questo nuovo approccio:
Ci siamo concentrati sulla semplificazione del sistema per pubblicare rapidamente una prima versione.
Abbiamo chiesto a ciascun partecipante di applicare le proprie competenze28 per valutare le risposte che il software stava fornendo, considerando ogni interazione e la validità dell'informazione in ogni passo del percorso.
Grazie ai riscontri ricevuti, abbiamo individuato un gruppo di migliorie che rispondessero ai bisogni dell'organizzazione didattica ed è uscita così la seconda versione che abbiamo verificato con un gruppo ristretto di docenti, intervenendo solo sui problemi bloccanti.
Rimaneva ancora in sospeso il nodo dei conflitti sul quale siamo intervenuti diverse volte per risolvere la controversia tra gli sviluppatori, i docenti e il personale delle segreterie.
Una volta trovata la soluzione ottimale, abbiamo potuto far uscire la terza versione del software.
Continuando a seguire la strada consigliata da Ries, abbiamo allargato la platea degli utenti a tutti i docenti di due diversi corsi di laurea, rilevando nuovi bug, qualche imperfezione e consigliando piccole migliorie.
Il servizio era finalmente pronto per essere messo in produzione, dopo appena cinque versioni di prova.
Il progetto, lungi dall'essere concluso, integra oggi altre sette macroaree di intervento che affondano le radici nell'esperienza e nei suggerimenti di tutti i partecipanti e descrive un'evoluzione del servizio della quale beneficeranno tanto i docenti che il personale ma, soprattutto, gli studenti.
I poeti sono i primi entomologi di se stessi, una qualità che, da quel che ho visto, ai manager fa spesso difetto: Dante e Petrarca, Parini e Alfieri, Leopardi e Calvino, Levi e Svevo sono solo alcuni esempi di approcci lontani all'analisi di sé che faremmo bene a conoscere se vogliamo capire chi siamo quando indossiamo la maschera pirandelliana del leader e valutiamo l'ambiente che stiamo contribuendo a creare sul posto di lavoro.
L'esperienza che ho descritto mi ha mostrato come le idee di Caproni sulla collaborazione critica, espresse nel metodo Lean Startup applicato secondo i consigli di Eyre e McMackin29 sulla gestione del team hanno prodotto risultati sorprendenti in termini di velocità di realizzazione, precisione nella correzione dei problemi bloccanti e disponibilità nel consigliare e applicare cambiamenti utili.
Le vicende di Manet con l'Accademia e il suo atteggiamento nei confronti di Berthe Morisot sono stati un esempio illuminante che, applicato allo sviluppo del software, ci ha guidato nella ricerca della massima semplicità di utilizzo senza pregiudicare le funzionalità.
Rispetto allo sviluppo iniziale di InfoContenuti, il percorso seguito per rendere operativo il sistema di prenotazione delle date d'esame si è rivelato alla fine molto più snello perché siamo ripartiti dai bisogni degli utenti, mettendo in evidenza le loro necessità, e costruito un servizio coerente con le indicazioni del committente e indirizzato all'utilizzo immediato.
Il contributo di Montale è stato fondamentale per definire il livello di astrazione adatto ad ogni fase della valutazione; senza i confini che Segre ha codificato, applicare le teoria di Marquet30 a questo progetto sarebbe stato estremamente più complesso in quanto non avremmo avuto un esempio esterno alla carriera militare, con le sue regole particolari, al quale riferirci.
La difficoltà di studiare procedure e metodologie di leadership risiede nell'alto livello di astrazione o nel diverso contesto di riferimento in cui vengono scritti i manuali perché può risultare semplice da capire in teoria ma estremamente difficile da applicare in pratica. Anche per questo motivo, i nuovi manuali cercano di affiancare le esperienze degli autori alle indicazioni teoriche che vengono codificate come fossero assiomi.
Non bisogna dimenticare che, dopo la pandemia e in conseguenza delle misure intraprese dai lavoratori durante il periodo pandemico, oggi si sente la necessità di avere un ambiente di lavoro più salubre e collaborativo, con leader meno orientati alla critica e capaci di ascoltare e stimolare i propri collaboratori, creanti un contesto più a misura d'uomo e, di conseguenza, maggiormente efficiente ed efficace.
In sintesi, il contributo degli studi umanistici alla formazione di un leader consiste nel renderlo una persona più completa, conscia di sé e capace di trasformare lo studio teorico in comportamenti reali mostrandone esempi concreti in molteplici campi a prima vista lontani.
Abbiamo visto che la capacità di mettere in relazione contesti diversi e regole di comportamento si può imparare ed è la sfida a cui sono chiamati i professionisti di nuova generazione.
Questa esperienza intende pertanto sottolineare l'importanza di considerare, nell'attivazione dei prossimi nuovi corsi magistrali presso il Dipartimento di Studi Umanistici, le classi di laurea31 LM-43 (Metodologie informatiche per le discipline umanistiche), LM-76 (Scienze Economiche per l'ambiente e la cultura) e in misura minore LM-91 (Tecniche e metodi per la società digitale), come già fanno altri Atenei32 33 34.
Il connubio dello studio delle scienze umane con l'acquisizione delle competenze tecnologiche è un'esigenza sempre più diffusa; già oggi sono richiesti e mancanti sia percorsi di formazione permanente, che di aggiornamento mirato, per fare fronte al bisogno in costante aumento di leader con competenze scientifico-umanistiche nei campi, ad esempio, del management aziendale, dell'allocazione ottima e della gestione delle risorse, della pianificazione strategica, della progettazione e realizzazione del software, dell'intelligenza artificiale e della programmazione35; tutte discipline da sempre prerogativa della formazione scientifica di stampo economico e tecnologico.
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Joram Marino - Ottobre 2024